top of page
Writer's picturesandra aisien

Dorcas: «Sono partita per una ragione, una sola»

Una mamma, tre figli lasciati indietro: il racconto di Dorcas



Poco più di Vent’anni fa, la signora Dorcas ha lasciato i suoi tre figli nelle mani di una signora conosciuta da pochi mesi. Era una scelta consapevole, anche se avrebbe voluto fare diversamente. Il pensiero che i suoi figli potessero vivere la sua stessa vita, piena di mancanze e incertezze, l’ha spinta ad accettare l’ignoto.

Era un giorno come gli altri, il sole era particolarmente caldo. Davanti alla signora Dorcas c’era il figlio di 11 anni con un vassoio pieno di fiocchi di manioca in testa. Doveva vedere tutto prima dell'ora di pranzo. La mamma aveva anche lei un vassoio, quasi il doppio del figlio, in testa. Con una mano teneva la figlia Itohan di circa 3 anni e ha avvolto la piccolina di poco più di un anno sulla schiena. Si erano fermati da un cliente abituale per vendere un po’ di fiocchi di manioca. In una di quelle visite, la signora ha deciso di tentare la fortuna all’estero, di partire per l’Italia, di garantire un futuro per i suoi figli.


Buongiorno signora Dorcas, la ringrazio per aver accettato d’essere intervistata. Come da lei richiesto, verrà cambiato il suo nome. Mi racconti di lei.


Sono nata e cresciuta in Nigeria. Mio padre aveva tre mogli e dodici figli. Sono la sesta. Di norma, essendo una famiglia molto numerosa, non tutti avevano la possibilità di frequentare la scuola per motivi economici. Fin da piccola ero abituata a vendere per strada. Le ragazze accompagnavano le loro mamme al mercato, mentre i maschi andavano col papà alla fattoria e ciò che raccoglievano veniva diviso tra le tre mogli per essere venduto, una parte.

Ho avuto i miei figli nella mia adolescenza, con un uomo molto più grande di me. Me ne ero andata via di casa, non ricordo bene per quale motivo. Il padre dei miei figli era il primo uomo che ho incontrato e conosciuto dopo essermene andata via di casa.


Ha voluto lei partire per l’Italia?


Si, ho deciso io. Dalla signora dove andavo due volte alla settimana per vendere i fiocchi di manioca, udivo spesso parlare di viaggi e più di una volta ho visto delle persone che sono tornate dall’estero. Alcune dalla Spagna ed altre dall’Italia. Ricordo d’aver chiesto alla signora, la chiamavamo “mummy”, se mi poteva aiutare a partire. C’erano delle condizioni ed io ero disposta a qualunque cosa. Non mi sono mai fatta troppe domande. Ciò che vedevo, le facce di quei bambini che si rallegravano al ritorno di una mamma o una zia dall’estero: “Your mama don com back from Itali” (significa: tua mamma è tornata dall’Italia), dicevano saltando. Quell’arrivo significava speranza. Beh, per i bambini significava regali.

Un paese estranio, era proprio cosi, nel vero significato della frase. Non ero a conoscenza della lingua diversa e delle diverse difficoltà che avrei dovuto affrontare. Più di vent’anni fa.


Come è arrivata in Italia e ci può dire quali erano le condizioni?


Oggi, quando vedo in televisione quelle persone sulla barca di gomma, in mezzo al mare, stento a crederci. A sentire di coloro che muoiono in mare o quelli che vengono venduti, mi rendo conto di quanto le cose siano cambiate.

Io sono arrivata con l’aereo e un passaporto. Avevo già il lavoro che mi aspettava. Avrei fatto la parrucchiera durante la settimana e nei weekend la bambinaia. Mummy mi aveva detto che avrei dovuto lasciare i miei bambini con lei e una volta pagata la somma richiesta, potevo tornare a riprendere i mei figli. Non ero preoccupata perché sono cresciuta lavorando e mi piaceva lavorare. Mi è sembrata un’opportunità da non perdere. Avrei dovuto anche pagare ottocento mila lire. Una cifra esorbitante all’epoca. Non avevo alcuna idea della diversità culturale, la lingua parlata e il modo del tutto estraneo a ciò che conoscevo. Ma questo non era nulla in confronto alla realtà che mi aspettava una volta atterrata.


Cosa intende?


Nessuno ti dice ciò che vai a fare realmente. Ai miei tempi, era come un segreto di stato. Diciamo che i beni che porti, la casa che inizi a costruire una volta pagata il debito, da un certo punto di vista, giustificava il modo in cui venivano ottenute quelle cose.

Una volta arrivata, l’uomo che mi ha accompagnata per tutto il viaggio mi ha portato da una signora, dalla quale avrei vissuto per l’arco del tempo necessario per saldare il debito. Non ero l’unica ragazza, ce n’erano altre tre. Ho incontrato la Madame la stessa sera. Era una signora molto in carne, con una grande presenza. Mi ha elencato tutte le regole della casa e quale era il mio compito. Oltre al debito, dovevo pagare l’affitto, la bolletta della luce e del gas.

Alla domanda, quando posso iniziare a lavorare e dove si trova il negozio di parrucchiera, la Madame ha riso e con un tono quasi intimidente mi disse: “Farai lo stesso lavoro delle ragazze perché è l’unico lavoro che puoi fare”.

Ogni ragazza aveva il suo punto assegnato della strada. La nuova arrivata doveva guadagnarsi il proprio punto. C’erano clienti abituali come c’erano anche dei drogati. Non c’erano certezze. Sentimmo di ragazze che sono state picchiate e stuprate e la notte dopo dovevano ritornare nel loro punto. Dovevamo indossare delle parrucche e truccarci. Gli indumenti erano selezionati personalmente dalla Madame. Questa era la vita, sei giorni su sette. Spesso ho pensato di scappare. Ho contemplato il suicidio diverse volte ed in quei momenti, il pensiero che mi travolgeva era dei miei figli. Quello mi sembrava una ragione valida per andare avanti. Per loro, avrei dato la vita.

Capitava che tornavo a casa e non avevo con me la cifra richiesta per quella settimana. Io mi preparavo per l’inevitabile: mi avrebbe picchiata e come punizione, avrei dovuto portare il doppio della cifra la settimana prossima. Spesso mi minacciava, dicendo ciò che avrebbe fatto ai miei figli se non pagavo tutto. Ho lavorato in strada per circa un anno, mancava poco nel debito.


Una sera, incontrai un signore il cui nome scoprii dopo. Don Gallo, lo chiamavo dongalo. Era un prete. Le ragazze mi avevano raccontato di quest’uomo che passava ogni tanto per dargli del caffè e tè, specialmente durante l’inverno. Quella sera, era insieme ad altre due persone, mi pare fossero delle suore da come erano vestite. Ho deciso di chiedere aiuto. Per fortuna una di loro parlava inglese.

Il giorno dopo, mi sono preparata per andare al “lavoro” e non sono più tornata. Arrivata dalle suore, sono stata iscritta ad una scuola di lingua e dopo un paio di mesi ho iniziato un corso di parrucchiere. “Direi che fare la parrucchiera è sempre stato nel mio destino”, aggiunge la signora Dorcas, sorridendo.

Sono tornata dopo dalla Madame e le ho saldato la parte mancante del mio debito. Prima di trovare un lavoro da parrucchiera, lavoravo nel ristorante di Don Gallo qui a Genova.


Ha dei rimpianti? Quando ripensa a come è arrivata in Italia e tutto ciò che ha dovuto fare, quali sono i suoi pensieri a riguardo?


Assolutamente si. Ma ho anche delle soddisfazioni. Sono riuscita a portare i miei figli in Italia. Sono riuscita a cambiare la mia vita, grazie a persone come Don Gallo. La mia vita mi insegna che c’è sempre una scelta anche quando sembra il contrario. Sono riuscita a dare una speranza ai miei figli, oltre ai regali. L’Italia mi ha dato tanto, mi ha accolto e di questo sono riconoscente.


Io la voglio ringraziare personalmente per il coraggio che ha nel raccontare la sua storia. Sono consapevole della difficoltà e spero che chi avrà la possibilità di leggere la sua storia potrà imparare ed essere incoraggiata.


Recent Posts

See All

Part Three

Serena was born in Benin City, Nigeria, and at the age of 6, she moved to a family house in Sapele Road, where her life took an...

Comments


bottom of page