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"Sapendo ciò di cui sono a conoscenza oggi, non sarei mai partito"

“In Libia, ognuno per sé”, parla Osazee



Risultati e sacrifici senza benefici


Possiamo ricostruire quanto vogliamo ciò che accade in posti come la Libia, ma non credo che si possa riportare fedelmente la crudeltà, gli atti disumani e l’insensibilità di quel posto. È vero che doveva durare pochi giorni, massimo una settimana. Una volta arrivati in Sicilia, a Lampedusa, saremmo stati salvati dalla guardia costiera italiana. Ma hanno deliberatamente tralasciato la cruda realtà del viaggio in sé. Nessuno mi ha detto che avrei potuto essere arrestato senza ragione o che avrei visto donne che venivano stuprate o mamme e figli sofferenti, perfino donne incinta in condizioni pietose.


Anni di duro lavoro, prestiti dopo prestiti, ore sotto il sole con papà nel terreno di famiglia. Diverse notti passati a studiare e preparare esami, senza elettricità. Io potevo studiare solo di sera perché durante il giorno, quando non ero a scuola, aiutavo papà. L’unico modo di avere luce era accendere una candela o una lampada a cherosene. Ho capito dopo che stare troppo al lungo vicino alle lampade a cherosene danneggia gli occhi. Sono stati cinque gli anni di studi universitari per diventare un avvocato, laureandomi tra i primi nella mia classe. Per mamma finalmente avrei trovato lavoro e, col tempo, avrei saldato i debiti accumulati. Ogni cosa al mondo ha un costo, ma nel mio paese, ogni cosa ha letteralmente un costo.


Era la gioia non solo della mia famiglia vedermi laureami all’università, ma dell’intero quartiere. Come si dice dalle mie parti: “Ci vuole una mamma e un papà per fare un figlio e un villaggio per crescerlo”. Quindi era tutto normale quando il giorno della mia laurea mia mamma ha chiamato tutte le persone che conosceva. Era un giorno davvero speciale.


La gente lascia il proprio paese per vari motivi. C’è chi scappa per salvarsi la vita, chi da una famiglia disfunzionale e chi per cercare una vita migliore. Non era nei miei piani partire, tanto meno affrontare un viaggio simile. Dopo 2 anni di ricerca di lavoro, ho cominciato a contemplare la possibilità di imbarcarmi in questo viaggio, che tante persone conoscevano, ma allo stesso tempo sembrava un segreto di stato. Dovevi conoscere qualcuno che conosceva qualcun altro. Inizialmente non ho detto nulla ai miei della mia partenza. Vedere giorno dopo giorno la fatica che facevano i miei genitori per arrivare a fine giornata, gli insulti da vicini di casa che avevano prestato soldi per i miei studi, la derisione delle persone… dovevo fare qualcosa. Esitai per qualche giorno, ma appena sono riuscito a mettere insieme i soldi necessari per la partenza ho comunicato la mia decisione ai miei. Sono partito con la speranza di tornare e aiutare la mia famiglia.


Il viaggio nel deserto


Se ricordo bene, le tappe erano ben elencate: dalla Nigeria a Kano, senza fermate. Impiegammo circa un giorno per arrivare a Kano, situata nel nord della Nigeria. Fin dalla partenza, era evidente che ognuno doveva pensare a sé, ti afferravi alla tua bottiglia d’acqua come se da quello dipendesse la tua vita. In certi momenti, era vero.


Si sconsigliava alle donne incinta di intraprendere quei viaggi, ma il motivo non veniva mai detto. Siamo partiti circa in trenta. Non mi interessava fare amici, volevo distaccarmi il più possibile. In giorno dopo siamo partiti per il Niger, dove per una settimana siamo rimasti nella capitale, Agadez. Alle signore era raccomandato di comprarsi l’hijab, ancora prima di arrivare in Libia. Durante il tragitto per la Libia, due ragazze tra i passeggeri supplicarono l’autista di riportarle indietro. Alle loro continue richieste egli rispose: “Siamo nel Sahara, non si torna indietro”. Il viaggio nel Sahara durò poco più di una settimana, per poi essere lasciati in una piccola città chiamata Duruku.

Delle realtà indescrivibili


In Libia ho visto cose incredibili. La polizia ci aspettava al nostro arrivo. Se la persona responsabile per il trasporto fino alla Libia non avesse pagato la polizia locale, venivi messo in prigione. Essendo un affare illegale, nessuno veniva a cercarti.


Insieme ad altri otto ragazzi, sono stato portato in una casa che sembrava in via di costruzione, ma allo stesso tempo, sembrava fosse in demolizione. Mi hanno arrestato perché il mio responsabile non ha dato la cifra necessaria. Sono stato picchiato per aver cercato di difendere un ragazzino, penso avrà avuto 13 anni. Intorno a noi, c'erano guardie con dei fucili in mano. Notai che nella stanza grande dove ci hanno messi eravamo tutti maschi. Le ragazze erano nella stanza accanto.

Ci veniva dato da mangiare una volta al giorno, chi aveva soldi poteva comprarsi qualcosa. Ogni tanto le guardie portavano via alcuni ragazzi per farli lavorare negli autolavaggi. Non tutti tornavano.


Erano più in pericolo le ragazze. C'erano notti che... (si inchina e scuota la testa). C'erano notti in cui sentivamo delle urla provenire dalla stanza accanto. Il giorno dopo, quando chiedevo in giro cosa fosse successo, non avrei mai immaginato la risposta. Le guardie ogni sera prendevano una ragazza a piacimento e la stupravano. Ogni sera era una ragazza diversa.


Contavo ogni giorno in quel buco. Pregavo per il giorno in cui ci saremmo imbarcati per l'Italia. Alcune ragazze indossavano magliette larghe e pantaloni larghi. Tutto per togliersi gli occhi di dosso. Lì non c'era pietà.

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